Sete 09/2020

Mercato & Tendenze  29 A Claudio Del Principe piace immergersi nelle atmosfere di locali unici e caratteristi- ci. Oltre a valutarli nel complesso, presta attenzione ai dettagli più o meno armonici che contribuiscono a creare un’esperienza ben riuscita. E naturalmente ai prodotti regionali. Infatti, l’editorialista di SETE a Madrid si è innamorato della birra spagnola Alhambra Reserva 1925. Questa birra lager premium anda- lusa convince per le note fiorite e speziate e un finale dolce e mal- tato. Per maggiori spunti, visita- te il blog di cucina e il profilo Instagram di Claudio. www.anonymekoeche.net @claudio_anonymekoeche La birra consigliata: Alhambra Reserva 1925 progetto di illuminazione non servono a niente se i tavoli non vengono illuminati in maniera ottimale e piatti e bicchieri non vengono messi opportunamente in risalto. Sarebbe come sprecare delle opportunità. Onestamente però buona parte dei clienti non nota in maniera consapevole questi dettagli. Quando esco a mangiare con degli amici e mi lamento della pessima illuminazione, spesso mi punzecchia- no: «Ancora con questa storia! A te che sei blogger brucia non poter fare qualche bella foto ai piatti, vero?» Anche, lo ammetto. Ma non è il punto principale. È pur sempre vero che anche l’occhio vuole la sua parte. Domina il grigio Mi ricordi di una serata passata a Vienna, nell’ottimo ristorante «O Boufés» dello chef stellato Konstantin Filippou. L’atmosfera è di grande impatto. Le luci sono basse, regna la semplicità. Dall’arredamento alle stoviglie in ceramica realizzate a mano, fino ai piatti fruga- li. E quando sono arrivati i primi piatti condivisi, sono tornato alla carica: «Sembra appetitoso vero? Tutto in tonalità di grigio?» e lì, in effetti, i miei amici hanno dovuto ammettere che avevo ragione: l’ambiente e l’arredamento spogli li aveva privati di una percezione sensoriale. Illuminare bene i piatti è importante oltre che redditizio. Voglio vedere ciò che mangio e bevo. Perché l’impressione visiva di un piatto mi ri- mane impressa almeno quanto il sapore. In- sieme, queste due percezioni si rafforzano. E mi spingono a tornare. Ne è un esempio lam- pante «The Table» dello chef a tre stelle Kevin Fehling. Ci si siede a un bancone, si vede la cucina e si viene serviti direttamente dai cuo- chi. Ogni piatto è perfettamente illuminato da un faretto, la miglior maniera di mettere il cibo in primo piano. Inversione di marcia È stato impressionante anche il passaggio del- lo chef stellato Stefan Heilemann dall’Ecco dell’Hotel Atlantis all’Hotel Widder. All’Atlantis, Heilemann è stato da subito insignito di due stelle Michelin. Il ristorante gourmet aveva ar- redi eccentrici e di lusso, era spazioso e arieg- giato, ed era perfetto per le creazioni cosmopo- lite e, talvolta, avventurose, basate sui migliori prodotti di lusso e su una tradizione artigianale ineccepibile. Durante il lockdown, l’hotel ha chiuso dopo tre anni di attività: è stato venduto e il ristorante è stato chiuso. È stata una fortu- na che l’Hotel Widder abbia assunto tutta la brigata di cucina e di servizio. La cucina di Heilemann viene ora presentata in un ambiente totalmente diverso. Le sale del «Widder» rispecchiano una casa centenaria classificata d’interesse storico. In contrasto, la cucina aperta con il grande tavolo dello chef che si delinea molto esperimentale e voluta così dalla direzione e dallo chef del ristorante. Mangiare qui è un’esperienza totalmente diver- sa da quella offerta dall’«Atlantis». Ma conti- nua ad essere decisamente piacevole e di alto livello. Grazie ai piatti perfetti e al servizio esemplare, è proprio una categoria a sé. Quindi l’arredamento di un locale non è poi così in- fluente? È la «storia» che viene suggerita a fare davvero la differenza. Il modo in cui ci si prende cura dei clienti. Quanto è presente lo chef. Quali emozioni vengono risvegliate nei clienti. E quali ricordi restano. Madrid II: lo stridente «StreetXO».

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